Amministrazione Catalano S.r.l.
13-09-2022
RIPARTO DELLE SPESE CONDOMINIALI
Riproduzione riservata tratta da Pietro Marzotti; 23 luglio 2022 Con una recente pronuncia (Cassazione 21086/2022) la Suprema corte è tornata ad occuparsi del tema della natura della convenzione con cui la compagine condominiale adotti un criterio di riparto delle spese svincolato dal principio proporzionale su cui il legislatore fonda (agli articoli 1118 e 1123 Codice civile e 68 e 69 disposizioni attuative Codice civile) la misura della partecipazione dei condòmini agli oneri. In base al primo comma dell`articolo 1123 Codice civile le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell`edificio, per la prestazione dei servizi nell`interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Il sistema normativo che insiste sul condominio detta così una regola generale che fa della proporzione tra il valore delle singole unità immobiliari e l`intero edificio il suo leitmotiv; questo rapporto proporzionale, espresso in millesimi, confluisce nelle tabelle millesimali, che costituiscono lo strumento principe attraverso il quale viene eseguito il calcolo di riparto delle spese inerenti all`edificio. La correlazione con le tabelle: Che vi sia un`intrinseca correlazione tra le tabelle millesimali ed il rapporto di proporzionalità emerge soprattutto dell`articolo 69 disposizioni attuative Codice civile che, nel dettare la disciplina della rettifica o modifica delle tabelle medesime, dispone un diverso regime per ciò che concerne da una parte la revisione delle tabelle volta a correggere un errore di calcolo o ad ovviare alla variazione (superiore a un quinto) del rapporto valoriale tra unità abitative ed edificio conseguente a sopraelevazioni, incrementi di superfici o incrementi o diminuzioni delle unità immobiliari presenti nello stabile; dall`altra la modifica secca delle tabelle non dettata dall`intento di ricondurre le tabelle a correttezza matematica. Se per la prima tipologia di variazioni è sufficiente una delibera adottata con la maggioranza del secondo comma dell`articolo 1136 Codice civile, per la seconda tipologia di variazione è richiesta l`unanimità. Se ne deduce che il legislatore ha inteso dettare un criterio di riparto delle spese naturalmente fondato sulla proporzionalità e costantemente teso ad essa (su questo profilo ci si consenta di rinviare a P. Marzotti Determinazione e revisione delle tabelle millesimali, in Il Condominio negli edifici: casi e questioni, a cura di A. Scarpa e G. A. Chiesi, IlSole24ore, 2022, pagine 86 e seguenti ), derogabile solo attraverso una delibera adottata dall`intera compagine condominiale che pertanto perde gli stessi connotati della collegialità, assumendo piuttosto i tratti di una volontà contrattuale. Il valore negoziale dell`assenso ex articolo 1123: Come la giurisprudenza di legittimità ha poi opportunamente chiarito la negozialità di tale volontà si realizza proprio nel discostamento dal criterio proporzionale di riparto più che nell`approvazione unanime da parte del gruppo dei condòmini (si veda, sul punto Cassazione, 1848/2018: In tema di revisione e modificazione delle tabelle millesimali, qualora i condòmini, nell`esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli articoli 1118 Codice civile e 68 disposizioni attuative Codice civile, dando vita alla diversa convenzione di cui all`articolo 1123, comma 1, ultima parte, Codice civile, la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell`articolo 69 disposizioni attuative Codice civile che attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell`edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle. Ove, invece, tramite l`approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell`unico originario proprietario e l`accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l`accordo unanime di tutti i condòmini), i còndomini stessi intendano (come, del resto, avviene nella normalità dei casi) non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima), la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l`errore il quale, in forza dell`articolo 69 disposizioni attuative, giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l`errore vizio del consenso, di cui agli articoli 1428 e seguenti Codice civile ma consiste, per l`appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito; in senso conforme anche Cassazione 7300/2010). Del resto, anche prima della riforma, si era fatto notare in dottrina come la delibera che si fosse limitata a una ricognizione di una realtà fattualmente osservabile (vale a dire quella delibera che, financo all`unanimità, avesse approvato delle tabelle millesimali aderenti al rapporto proporzionale tra unità abitative ed edificio), avrebbe difettato del tratto caratteristico del negozio, cioè della capacità di piegare la realtà alla volontà delle parti, non potendosi riconoscerle neanche valore di negozio di accertamento, posto che siffatta delibera non si fonda su una situazione di incertezza che necessita di essere rimossa (vedi in questo senso G. A. Chiesi, Il condominio negli edifici: la rivoluzione copernicana delle Sezioni unite, in Rivista giuridica dell`edilizia, fascicolo 5, 2010, pagina 267). Legittimo l`esonero dalle spese di alcuni condòmini: Proprio in un contratto si esplica dunque quella diversa convenzione contemplata dall`articolo 1123 Codice civile; la volontà contrattuale, tuttavia, nel discostarsi dal criterio proporzionale di ripartizione delle spese, non incontra limiti: la Suprema corte ribadisce ormai da tempo e con costanza il principio per cui deve ritenersi perfettamente legittima la convenzione con cui taluno dei condòmini venga del tutto escluso dalla partecipazione alle spese inerenti alla conservazione dell`edificio o dalle spese inerenti a una determinata parte comune (si veda, sul punto, Cassazione 14697/2015 Poiché la disciplina sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni (articoli 1123-1125) è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale, deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condòmini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l`esenzione totale o parziale per taluno dei condòmini dall`obbligo di partecipare alle spese medesime. Si è specificato inoltre che In quest`ultima ipotesi, nel caso cioè in cui la clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condòmini l`esenzione totale dall`onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (nel caso, l`ascensore), si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condòmini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato. Per contro, in assenza di siffatta previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condòmini alle decisioni che concernono detto bene. (Fattispecie nella quale la Corte ha conseguentemente ritenuto illegittima la delibera assembleare inerente l`esecuzione di un intervento di ristrutturazione dell`ascensore, essendo stata adottata con la partecipazione dei soli condòmini proprietari degli appartamenti situati dal primo all`ultimo piano dell`edificio, con esclusione dei proprietari del piano ammezzato e dei negozi; in senso conforme Cassazione 5975/2004). La delibera che - a maggioranza - deroghi ai criteri: Deve a questo punto porsi il dubbio su quale sia il vizio che affligga una delibera assembleare che, a maggioranza, deroghi al criterio di riparto stabilito dalla legge o dalla diversa convenzione validamente approvata dall`assemblea; sul punto hanno recentemente fatto chiarezza le Sezioni unite (Cassazione 9839/2021), che hanno distinto l`ipotesi in cui l`assemblea a maggioranza deroghi in concreto (potremmo dire: una tantum) ai criteri di riparto ivi stabiliti, dall`ipotesi in cui la delibera intenda modificare sempre a maggioranza- tali criteri in astratto e per il futuro. Mentre nel primo caso viene a delinearsi un`ipotesi di mera annullabilità della delibera, la cui impugnativa andrà pertanto soggetta al termine decadenziale di cui all`articolo 1137 Codice civile, nella seconda evenienza si configurerà la radicale nullità della stessa; delle tre categorie di nullità enucleate dalla giurisprudenza di legittimità -mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, illiceità ed impossibilità dell`oggetto- è proprio a quest`ultima che andrà ricondotto il vizio ora prospettato, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni assembleari (come ha chiarito il supremo organo nella predetta sentenza Cassazione 9839/2021 infatti Sono nulle le delibere con cui, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell`assemblea previste dall`articolo 1135, numeri 2) e 3), Codice civile e che è sottratta al metodo maggioritario, mentre sono, invece, meramente annullabili le delibere aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condòmini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di delibere assunte nell`esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, sicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall`articolo 1137, comma 2, Codice civile). Tipologia di delibere e termini di impugnazione: Ne discende che solo le delibere che approvino tabelle meramente ricognitive o correttive secondo verità dovranno considerarsi di competenza assembleare: ne è dimostrazione il fatto che per tali delibere l`articolo 69 disposizioni attuative Codice civile prevede la legittimazione passiva del solo amministratore (sul punto si veda anche A. Scarpa, Voce Condominio (Riforma del), Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, appendice di aggiornamento VIII, Utet, 2013). Per ragioni di completezza espositiva, si deve evidenziare che la conseguenza logica di quanto premesso sarà che nell`eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio nei confronti del condomino moroso e nel quale l`opposizione venga a fondarsi proprio sull`annullabilità della delibera di ripartizione delle spese divergente in concreto dai criteri legali o convenzionali, il vizio potrà esser fatto valere solo tramite apposita domanda riconvenzionale e sempre purché non sia andato perento, estinto, il termine per l`esercizio dell`azione di annullamento in via principale. L`opponibilità della convenzione: Deve a questo punto chiarirsi un ultimo aspetto, sul quale ha fatto luce la pronuncia di legittimità (Cassazione 21086/2022) dalla quale ha preso le mosse la presente trattazione, vale a dire il profilo della opponibilità della convenzione sulla ripartizione in deroga ai criteri di cui all`articolo 1123 Codice civile ai successori dei condòmini che la stipularono. Trattandosi di un contratto dovrà necessariamente trovare applicazione il principio di relatività dei suoi effetti (articolo 1372 Codice civile), cosicché essi non potranno prodursi nei confronti degli aventi causa dei condòmini contraenti, a meno che questi ultimi non abbiano manifestato il proprio consenso a tutti gli altri condòmini (e non solo al loro dante causa). Come chiarisce la Corte, infatti, non può trovare applicazione, nel caso di specie, il principio di cui al secondo comma dell`articolo 1107 Codice civile (decorso il termine indicato dal comma precedente senza che il regolamento sia stato impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti) -pur astrattamente applicabile in virtù del generale richiamo di cui all`articolo 1138 Codice civile - poiché quand`anche rivestita della forma di clausola regolamentare la diversa convenzione conserva natura contrattuale e deborda dal contenuto tipico del regolamento. Le modifiche per fatti concludenti: D`altra parte, come la pronuncia predetta non manca di evidenziare, essendo tale convenzione espressione dell`autonomia privata e non di una volontà collegiale, la sua validità si svincola dalle formalità richieste per lo svolgimento del procedimento assembleare; il consenso, tanto quello dei condòmini originari contraenti quanto quello dei loro aventi causa, potrà ben manifestarsi anche in forma tacita, per fatti concludenti (in merito, già Cassazione 4814/1994 aveva chiarito che La partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall`assemblea dei condòmini di un edificio per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condòmini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l`acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, può assumere il valore di unico comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei condòmini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dar luogo, quindi, per fatti concludenti, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco, di tutti i condòmini).